Prima di conoscere il mio parere su Devilman Crybaby, rispondete a questa domanda: avete letto il manga originale? Se la risposta è no, vi dico subito che ad oggi non esiste adattamento per il piccolo o grande schermo che renda giustizia al capolavoro di Go Nagai e che la lettura del manga è imprescindibile per immergersi completamente nel mondo oscuro di Devilman. Fatta questa doverosa premessa, vediamo cosa mi ha convinto di DCB e cosa no. Da un punto di vista narrativo mi sento di promuoverlo: il racconto è in gran parte allineato a quello di Go Nagai, riadattato per l’epoca odierna e con digressioni che non stonano affatto, ma offrono anzi qualche emozione in più.
Non siamo più negli anni ’70 e le ambientazioni classiche del manga hanno lasciato il posto ai social networks, all’uso compulsivo degli smartphones, al GPS, alle fake news ed al mondo virtuale in cui, nolenti o volenti, “appariamo” oggi. Per chi conosce la storia è facile intuire come questo aggiornamento temporale influisca sugli aspetti sociali del racconto: la discriminazione, il razzismo, il rifiuto per il diverso, i temi centrali dell’opera di Go Nagai risultano non solo perfettamente attuali in DCB, ma proliferano e si amplificano anche in questa nuova dimensione virtuale.
Un plauso agli adattamenti di sceneggiatura quindi, ma qualche riserva sulla caratterizzazione dei personaggi. Riguardo ciò, la serie parte e chiude molto bene (Episodi 1-3 / 8-10), ma perde mordente nella parte centrale in cui demoni come Silen, Jinmen, Agwel, Ghelmer, Kaim e Xenon non vengono approfonditi come dovrebbero e restano in secondo piano, penalizzati da una improvvisa accelerazione narrativa. Forse un paio di puntate in più a questo punto avrebbero reso giustizia a personaggi così importanti e permesso di esplorare maggiormente il rapporto fra demoni e uomini con i rispettivi sensi di giustizia ed affermazione sociale: un piccolo universo intravisto, ma non del tutto approfondito.
Anche lo spazio dedicato alla scienza ed all’etica, che nel manga rappresentavano un po’ il giro di boa (in tutti i sensi) della vicenda, risulta troppo sacrificato con conseguenti vuoti di sceneggiatura ogni qualvolta ci si allontana troppo dai protagonisti e dalle loro vicende.
È un peccato, perché al contrario i personaggi di Akira e Ryo funzionano discretamente e viene dato finalmente spazio alla famiglia Makimura ed a Miki in particolare che risulta un personaggio quasi completamente riscritto, un ponte fra “vecchio” e “nuovo” e collante nella storia. Funzionano anche i nuovi comprimari Miko e Koda, assenti nel manga, ma qui ben inseriti nel contesto, una scelta che rinfresca un po’ l’opera ed offre nuovi intrecci narrativi e chiavi di lettura, anche a chi conosce a memoria il racconto.
Superata la parte centrale, gli ultimi episodi recuperano ritmo e tono riallineandosi a quelli del manga e rimanendo ad esso fedeli come mai fatto prima: sì, perché i primi due (gradevoli) OAV realizzati fra anni ’80 e ’90 (“Devilman, la Genesi” e “Devilman, l’Arpia Silen“) non ci portavano alla conclusione degli eventi e se tralasciamo il poco riuscito “Amon, Apocalypse of Devilman” che deviava (male) su di una (discutibile) linea narrativa tutta sua, non avevamo ancora visto su schermo gli ultimi capitoli dell’opera nella loro sanguinaria brutalità.
Per fortuna DCB non fa sconti: i pugni allo stomaco del manga ci sono e si succedono rapidamente uno dietro l’altro. Chi ha criticato l’eccessiva brevità degli eventi narrati in chiusura probabilmente non ha mai letto l’opera originale, che come sappiamo, è un’assoluta e velocissima discesa agli inferi.
Stilisticamente DCB è anni luce lontano dalla mano di Go Nagai. Non conoscendo Masaaki Yuasa, ho approcciato la serie in maniera non prevenuta e preparata ad un omaggio piuttosto che ad una fedele trasposizione su schermo e l’omaggio c’è, visivamente riuscito e coerente (con se stesso) dall’inizio alla fine, benché appaia limitato nelle scene di azione ed inadeguato nella rappresentazione dei demoni, mai realmente spaventosi o inquietanti.
Personalmente avrei preferito trovare qualcosa di più vicino a “Violence Jack: Evil Town” con una bella colonna sonora metal di sottofondo, ma DCB non offre nulla di tutto questo e ci regala emozioni visive più colorate, quasi psichedeliche rispetto a quelle horror e viscerali del manga. Non posso dire che la nuova direzione stilistica mi abbia convinto, ma non mi sento nemmeno di bocciarla, non alla luce di una regia comunque ottima e di un montaggio ineccepibile che incolla allo schermo e permette di passare sopra a scelte che, già dal primo episodio, è semplice metabolizzare.
E poi ci sono le musiche a dare una mano: ben scritte e contestualizzate, abbracciano diversi sottogeneri dall’elettronica alla sinfonica e sottolineano la natura delle emozioni senza mai essere troppo invasive. Tre temi in particolare lasciano il segno, malinconici ed epici allo stesso tempo.
In definitiva, ben vengano adattamenti rispettosi come questo in grado di avvicinare le nuove generazioni ai capolavori del passato perché, pur essendo passati quasi 50 anni dall’uscita del manga, l’opera è di un’attualità sconvolgente: vengono i brividi a constatare quanto Go Nagai ed il Giappone fossero avanti nel 1972.
Il mio consiglio per (ri)scoprire questo capolavoro senza tempo rimane quello di immergervi nella lettura del manga originale, di evitare come la peste la serie tv anni 70 e di recuperare i primi due OAV “Devilman, la Genesi” e “Devilman, l’Arpia Silen”, tenendovi alla larga dal terzo malriuscito “Amon, Apocalypse of Devilman”. Una volta fatto ciò, respirate a fondo, asciugatevi le lacrime, prendetevi una pausa dallo stile visivo del maestro e date una possibilità al nuovo adattamento di Masaaki Yuasa perché, pur con tutti i suoi difetti, merita assolutamente.
VOTO 80/100